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Una storia scritta dallo storico Cesare Farinelli che, da diversi anni, si occupa di ricerche storiche su Valeggio e il suo territorio e raccontata sottovoce nei filò…
Per secoli, quando le notti erano più silenziose e buie, quando solo la luce della luna inargentava le torri merlate del Castello Scaligero, nessun valeggiano osava approssimarsi al “maniero”, poiché tutti sapevano che qualcuno o qualcosa s’aggirava per i rostri e le merlate. Molti, tra coloro che abitavano i dintorni, a ridosso del colle, giuravano di averlo visto: uno spettro gelido e silenzioso, imperioso e temibile, nelle notti di luna piena.
Qualcuno bisbigliava che tutto risalisse ad una tragica storia, molto vecchia, d’armi, potere e tradimenti, avvenuta ai tempi degli Scaligeri, Signori di Verona, quando, dopo che venne avvelenato per mano sconosciuta, l’ultimo dei discendenti di questa potente dinastia, Guglielmo, prese il controllo della Città, se pure per breve tempo, Giacomo da Carrara, già Signore di Padova. Questi tentò in ogni modo e con qualsiasi mezzo di tenere il potere e contrastare la crescente potenza della Serenissima, che minacciosamente avanzava nella Pianura Veneta.
All’inizio del Gennaio 1405 una delazione segreta informò proprio il Carrarese che il Castellano di Valeggio, messer Andriolo da Parma, stava trattando coi veneziani la resa e la consegna del capisaldo fortificato, cardine dell’imponente linea difensiva del Serraglio. La reazione del Carrarese fu subitanea e cruenta. L’8 Gennaio, un drappello di armigeri raggiunse il Castello di Valeggio e arrestò Andriolo, con l’infamante accusa di alto tradimento. Esautorato di tutti i suoi poteri, spezzata la spada, icona dell’autorità, il Da Parma fu legato e, su di un carro, trasportato sulle rive dell’Adige, a Verona, nel Campo di Marte. Incatenato ad un palo, con un colpo di lama venne brutalmente squartato.
La sanguinaria esecuzione non garantì, in ogni caso, la sopravvienza politica di Giacomo, che nel luglio successivo si vide costretto alla fuga, repentina, dai veronesi insorti, che consegnarono spontaneamente la Città a San Marco e al Doge. Non sappiamo dove fu sepolto Andriolo, forse il cadavere fu gettato nell’Adige o in una fossa comune. In ogni caso da quel giorno, tragico, pare che il suo spirito tormentato, tornato tra le mura del Castello, in ogni notte di plenilunio, vaghi tra le torri alla ricerca della sua spada, spezzata e sepolta in un luogo segreto dagli sgherri del Carrarese.
Andriolo cerca il suo onore perduto, senza il quale non può riposare in pace.